Ayrton

Ero un bambino di 10 anni in quel 1 maggio di 30 anni fa. Ero naturalmente appassionato di Formula 1, vengo da parte di madre da una famiglia di motoristi dove il grasso del motore e il rombo dei motori sono nel sangue. Non potevo non appassionarmi, in quelli anni ‘90, a quelle auto scintillanti, dalle forme slanciate, colorate, così belle e particolari.

I motori, i V12 e i V10, erano per me, bambino, una sinfonia, i piloti degli eroi.

Ayrton era una sorta di leggenda, sembrava immortale, eterno. Un pilota saggio, magico, veloce, nell’acqua danzava. Il suo casco, con i colori brasiliani, era iconico, il simbolo stesso della competizione. La Ferrari non era ancora quella macchina invincibile comandata dal Kaiser, Schumacher. Eravamo appena usciti dal dominio McLaren ed entrati nell’era Williams, la macchina del futuro.

Negli anni ‘90 la Formula 1 era ancora pericolosa, rischiosa, inebriane, mortale.

Quel dannato 1 maggio non ero a casa, ero a giocare a un torneo calcistico.

Fu mio padre a dirmelo, ai margini della premiazione, dei mormorii e delle poche informazioni che si potevano avere nel periodo prima di Internet e prima dei cellulari.

Tornando a casa mi ricordo ancora la radio che dava la notizia dell’incidente, a casa sulla Rai la notizia della morte al Tamburello.

Ciao Ayrton, sei nel cuore di tutti gli appassionati e di tutti i piloti.